Nuove ricerche hanno scoperto una potenziale spiegazione alla connessione tra il vaccino anti-COVID e i coaguli di sangue.

Uno studio condotto da un team dell’Università Flinders e SAHMRI in Australia ha rilevato significative differenze nel modo in cui i vaccini anti-COVID di AstraZeneca e Pfizer influenzano il sistema immunitario. In particolare, il vaccino AstraZeneca ha provocato una risposta simile alla memoria, spiegando potenzialmente la sua rara associazione con l’insorgenza di coaguli di sangue.

Lo studio, denominato COVID-19 Vaccine Immune Responses Study (COVIRS), ha coinvolto 102 adulti di diverse età residenti nell’Australia del Sud. I partecipanti hanno avuto il sangue prelevato immediatamente dopo aver ricevuto ogni dose del vaccino di AstraZeneca o di Pfizer per valutare la loro risposta immunitaria precoce. Ulteriori test sono stati condotti 28 giorni dopo ogni vaccinazione per misurare l’attività dei linfociti B e T, che svolgono un ruolo cruciale nella risposta immunitaria.

Secondo il responsabile del Systems Immunology Laboratory di SAHMRI e professore all’Università Flinders, David Lynn “dopo la prima dose, siamo rimasti sorpresi dal fatto che il vaccino AstraZeneca abbia provocato una risposta simile alla memoria nel sistema immunitario, riconoscendo il vaccino come se fosse stato già visto in passato. Questa risposta è mirata contro il vettore del virus adenovirus presente nel vaccino, e non contro la proteina Spike, e l’intensità di questa risposta correla con l’espressione di proteine che agiscono come precursori della trombosi o la formazione di coaguli di sangue”.

Il vaccino Pfizer, invece, ha indotto una maggiore attività dei linfociti B e T.

Il team di ricerca ha inoltre scoperto che le persone che avevano ricevuto solo due dosi del vaccino AstraZeneca avevano prodotto generalmente quantità inferiori di anticorpi e una quantità minore di un tipo specializzato di cellula T, che aiuta nella produzione di anticorpi rispetto a coloro che avevano ricevuto due dosi del vaccino Pfizer. Tuttavia, questo problema è stato risolto con una terza dose di un vaccino mRNA.

Il dott. Lynn spiega che l’età è un fattore che incide sulla risposta immunitaria, con gli anziani che hanno generalmente una risposta inferiore dopo due dosi. Tuttavia, una terza dose era altamente efficace nel superare questo problema.

L’illustre professore dell’Università Flinders ha anche rivelato che le persone che hanno manifestato sintomi di affaticamento e febbre subito dopo la terza dose del vaccino erano maggiormente inclini a mostrare una migliore risposta dei linfociti T. Questi ultimi giocano un ruolo vitale nell’efficacia del vaccino, poiché attaccano direttamente le cellule virali.

In generale, lo studio ha fornito importanti nuove informazioni sulla risposta immunitaria precoce a questi vaccini e offre una comprensione maggiore su come funzionano per proteggere contro il COVID-19.

Il progetto è stata una grande collaborazione tra vari enti accademici e aziende, tra cui AstraZeneca e l’Ospedale Reale di Adelaide. Il team di ricerca desidera esprimere la propria gratitudine a tutti i partecipanti e ai finanziatori, tra cui Bioplatforms Australia, la Fondazione per la Ricerca Ospedaliera e la Fondazione Flinders.

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Di RRR

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